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Storia, arte e cultura

La storia

Anche Braone (dal latino "brago" = palude oppure dal greco "bragos" o da "brieg" luogo acquitrinoso o dal francese "brai" = fango), sebbene non abbia lasciato una importante traccia nella storiografia ufficiale, ha una sua storia, dovuta a una famiglia nobile e a una comunità articolata su poche famiglie che, con le loro corti, hanno formato il villaggio (famiglie: Cocchi, Facchini, Bonfadini, Gelmini, Prandini, Cancellerini, Rebuffoni, ecc.). Si hanno alcune notizie sull'esistenza del paese soltanto dal XII sec., quando anche Braone, come le altre comunità della Vallecamonica, venne infeudato dal Vescovo di Brescia e consegnato alla famiglia Griffi di parte Guelfa. Tuttavia la comunità e il villaggio sembra si siano sviluppati posteriormente, nei sec. XVI-XVII, sotto la dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia (1427 - 1797), come testimoniano le date ancora esistenti sui portali delle corti (1547 casa Facchini, 1554 casa Bonfadini, 1580 casa Gelmini, 1633 casa Cancellerini, 1647 casa Prandini, 1654 casa Rebuffoni). 

Vicinia fin dai tempi antichi (dal Medioevo), Braone diventa più tardi frazione del Comune di Niardo, ricostituendosi in Comune autonomo nel 1820. Nel 1927, con l'avvento del fascismo, Braone venne fuso in unico comune con Breno e Losine. Solo nel 1950 gli fu restituita l'autonomia. Della nobile famiglia Griffi, che aveva possedimenti e case in molti luoghi della Valle, rimane a Braone una grande casa, ora del Comune. Delle altre famiglie rimangono, a testimoniare la struttura patriarcale ad economia agricola chiusa, i portali di pietra ad arco etrusco o a trave, i forni, le fontane, nelle corti. Altri elementi di un certo valore artistico sono: un forno in pietra di Sarnico in stile gotico datato 1580, appartenente alla Casa Gronchi; due affreschi staccati dalle pareti di Casa Gronchi (probabilmente del sec. XVI), restaurati ed esposti in una sala del BIM di Vallecamonica; la stessa Casa Gronchi, con finestre gotiche e una porta in stile arabo (su una trave c'è tutt'ora la data 1511); una colonna in pietra di Gorzone, cilindrica e levigata, con capitello a forma quadrata ai cui angoli vi sono semplici volute e con il plinto di forma circolare; un affresco, recentemente staccato dalla casa canonica, restaurato e collocato nella chiesa parrocchiale, intitolato "Madonna in trono col Bambino" di scuola lombarda del XVIII sec.; la pala della parrocchiale intitolata "Purificazione di Maria Vergine" (patrona del paese, 2 febbraio) di autore ignoto del XVI sec., un trittico di affreschi staccati dalla casa Lardelli in Via Ziralda raffiguranti San Domenico, la Sacra Famiglia e San Pietro. 

Braone, 01 Marzo 2000
Rino Prandini

Il tesoro di Braone

Nel mese di novembre del 1956 a Braone durante gli scavi, per la posa di un acquedotto, eseguiti dall’Impresa Picchiotti di Bergamo per conto della S.E.B.-Edison sotto la direzione del Geom. Patti, fu rinvenuto da due operai (dalle testimonianze raccolte quasi sicuramente Gelmini Giacomo (Jàcom dèla tor) e Castelnovi Amadio) un tesoro.La scoperta venne fatta sul lato destro della Via Sommavilla di fronte alla casa segnata col n.13 di allora.
Questo reperto, chiamato poi “Tesoretto di Braone”, consisteva in una teca di piombo contenente 9 nove piccole monete d’oro.
La teca (andata perduta) era formata da due capsule cilindriche sovrapposte (quella maggiore di diam.6/7cm e di altezza 5/6cm; quella minore di diam.3/4cm e di altezza 4cm circa; le monete sono romane del V-VI sec.,di diam. 2cm e di peso 4,5gr.circa (1/72 di libbra romana =324gr), in ottimo stato di conservazione. Uno degli operai addetti ai lavori affermò che la teca venne raccolta chiusa e sigillata a circa 1,20m di profondità, entro una rozza tomba ad inumazione che aveva le pareti di sassi e malta, nella quale si notarono alcuni resti umani in cattivo stato di conservazione.
Furono visti pure vari frammenti fittili (di terracotta), ma si ignorava se si trattasse di laterizi utilizzati nella costruzione delle pareti o di tegoloni usati con funzione di copertura. Nella tomba, che aveva per fondo il terreno naturale e che era orientata da Nord-est a Sud-ovest, non fu trovato altro corredo funebre tranne la teca suddetta. Le monete, dopo un periodo di dispersione in quel di Bergamo (ritrovate dai carabinieri di Breno), salvo una che era rimasta in Valcamonica (consegnata al Comune di Breno dall’avv.Facchini) furono recuperate tutte già alla data del 28/01/1957. Per la minuziosa descrizione scientifica-archeologica dei pezzi aurei si rimanda alla “Miscellanea di studi bresciani sull’alto medioevo”1959 e alle ricerche in “ValleCamonica romana” 1987.
Per quanto riguarda la nostra curiosità ci basterà avere alcune informazioni storiche, religiose, sociologiche e qualche congettura e deduzione.
Le monete raffiguravano tre imperatori dell'Impero Romano d'Oriente così suddivise: 

  • n.4 di Leone I (457-474 d.C.) 
  • n.2 di Zenone Isauro (474-491) 
  • n.3 di Anastasio (491-518) 
Gli studiosi ritengono che siano state coniate nella zecca di Costantinopoli tranne 2, una con l’effige di Zenone coniata nella zecca di Milano sotto Odoacre, re degli Eruli,e una nella zecca di Roma sotto Teodorico re dei Goti; essi affermano che debbano essere datate nel periodo dell’impero di Anastasio e così pure la tomba, comparata con altre simili rinvenute a Cividate, (fine V sec., inizio VI sec.).

Perché la certezza di questa datazione? 
Pur non essendo una prova assoluta gli storici, secondo le loro comparazioni, deducono che se la tomba fosse stata della metà del VI sec. o più recente vi avremmo trovato probabilmente qualche pezzo d’oro degli imperatori d’oriente successivi ad Anastasio, soprattutto del celebre Giustiniano I che sconfisse gli Ostrogoti di Teodorico (che regnò in Italia dal 527 al 566) e qualche pezzo d’argento dello stesso Teodorico che ne fece coniare in abbondanza. Nei sec. IV-Vd.C. l’Impero Romano d’Oriente con capitale Costantinopoli era forte e potente e riuscì a far fronte alle incursioni barbariche provenienti da est, le quali invece devastarono e occuparono l’impero romano d’occidente facendo cadere l’ultimo imperatore Romolo Augustolo(476).Si instaurarono così i regni barbarici.
Considerato ciò, non ci si deve meravigliare che le monete, soprattutto di valore coniate a Costantinopoli con l’effige degli imperatori d’oriente, circolassero pure in occidente poiché il commercio era sempre stato attivo anche in presenza di guerre, ma ci si domanda perché delle monete con l’effige degli imperatori d’oriente siano state coniate a Milano e a Roma.
E’ noto che Odoacre non si fece nominare né imperatore né re ma assunse per sé semplicemente il titolo di “Patricius Romanorum”appellativo che più volte, tramite ambasciatori, cercò di farsi riconoscere ufficialmente dall’Imperatore d’Oriente, ma senza successo.Questo titolo rappresentò comunque, di fatto, l’autorità suprema nel mondo occidentale, in quanto Odoacre era in pratica il sovrano riconosciuto dai popoli barbari e ebbe l’intelligenza di capire che il suo potere doveva essere consolidato soprattutto in quel tempo di invasioni disordinate e ebbe l’accortezza di mantenere la stessa burocrazia, la stessa lingua, i medesimi funzionari e…le stesse monete con l’effige degli imperatori d’oriente. Tuttavia i re barbarici non disdegnarono di mettere i loro simboli e le sigle delle loro zecche. Il simbolo imperiale era garanzia i valore e di circolazione delle monete anche in occidente. Ecco che si giustifica il fatto che Odoacre continuassea far coniare monete d’oro con l’effige di Zenone(suo contemporaneo)nella zecca di Milano(M-D=MeDiolanum).Solo nelle monete d’argento e di bronzo, emesse a Milano, compare il nome di Odoacre o il suo anagramma. Una delle tre monete di Anastasio, ad un attento esame e dopo studi comparati, si è rivelata essere un’emissione ostrogota di Teodorico della zecca di Roma.
Nella tomba con il tesoretto si suppone che non vi fosse sepolto un barbaro invasore ma un “miles” romano superstite e si può affermare che fosse ricco perché, in quei tempi di grave decadenza politica e economica(invasioni barbariche, assenza di leggi, guerre, pestilenze e carestie), 9 aurei dovevano costituire un discreto patrimonio.
Dal punto di vista topografico questo ritrovamento potrebbe essere un’ulteriore prova che nei pressi passava una modesta strada romana(Civitate-Breno-Niardo –Braone-Nadro-Serio[oggi Capodiponte] ) parallela a quella più nota e frequentata la Via Valeriana(Cividate-Malegno-Losine-Cemmo)alla quale si congiungeva per poi proseguire verso l’alta Valle)
Come si presentò la tomba non avrebbe dovuto suscitare meraviglia se gli studiosi, che hanno svolto indagini comparative, vi avessero trovato altri monili o suppellettili assieme al tesoro, ma questo non avvenne.Infatti, in altre tombe dove è stata riscontrata la presenza di ripostigli con monete di un certo valore, solitamente sono rinvenuti anche alcuni oggetti riguardanti la vita del defunto. A questo punto è lecito fare delle supposizioni: 
  • che queste monete siano state frettolosamente occultate nella tomba durante o dopo la sepoltura del morto, perché i famigliari o i compagni di viaggio potevano essere minacciati da un pericolo incombente (bande violente od orde barbariche che razziavano queste contrade indifese) e poi nessuno abbia potuto recuperare la teca; 
  • che la tomba sia stata oggetto di profanazione posteriore per cui sono state trafugate le suppellettili e i monili, ma non è stato trovato il tesoro perché nascosto sotto il cadavere; 
In ogni modo, anche prescindendo dal notevole valore numismatico delle monete, la scoperta di Braone è molto importante dal punto di vista storico-archeologico, perché è il primo reperto della Valle Camonica che può essere assegnato con sicurezza all’Alto Medioevo o al periodo Tardo Antico. La teca di piombo, di cui esistono le fotografie, è scomparsa durante la sua permanenza al Museo Archeologico di Milano, e pertanto non è esposta al Museo di Cividate, dove ora sono collocate le monete.

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Ultimo aggiornamento
13 settembre 2022