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La cava di Piazze

Storia - Parte 1

Non sono stati trovati documenti che possano informarci circa l’inizio del lavoro degli scalpellini nel territorio di Braone e nemmeno quando può risalire la loro presenza nella località di Piazze (in Valpaghera a 1000mslm), luogo appunto dove vi è abbondanza di granito dell’Adamello.

Se in paese sono ancora ben visibili numerosi portali, molte fontane e pietre d’angolo di granito ben lavorato che testimoniano con le loro date rinascimentali la presenza in loco di scalpellini (pica préde) almeno 600 anni or sono, in Piazze, sebbene si possa ipotizzare che le cascine colà costruite possono risalire all’800(?), le uniche date scolpite nella pietra sono quelle della “Villa Gheza” (1915) che presenta numerosi e pregevoli manufatti in granito (spallette, cappelli, gradini, colonne ecc.).

Probabilmente la lontananza di Piazze, le difficoltà del trasporto, la modesta richiesta del mercato e soprattutto l’abbondanza di massi portati a valle dalle frequenti alluvioni del torrente Pallobia non hanno mai lusingato gli scalpellini a sfruttare i trovanti e la cava della località montana. Infatti, anche quando, durante la costruzione della ferrovia valligiana, vi fu la richiesta di molti blocchi di pietra lavorata(sassi squadrati e copertine per muri), questi furono ricavati dai massi reperiti nel torrente in località Vibio .

Pertanto si può ipotizzare che l’attività vera e propria del “picaprede” sia cominciata all’inizio del’900 con il taglio e la lavorazione dei trovanti staccatisi naturalmente dalla cava (roccia verticale ancora visibile nel bosco sopra Piazze a est-sud-est. Questa supposizione si basa sul fatto che tutto il territorio di detta località è costellato di massi che presentano i segni ben visibili lasciati dalle punte di ferro che indicano il loro utilizzo in parte o il loro abbandono.

In Piazze all’inizio del secolo scorso e sicuramente dal 1923 al 1940 gestiva la lavorazione dei trovanti di granito Prandini Pietro (nonno di Cifra artista del granito, che a quel tempo era pure proprietario della cascina “bàit del gòp” proprio sotto la cava) con Bonfadini Isidoro (padre di GioMaria). Con loro vi erano anche Prandini Antonio (padre di Ciso, Celeste ecc) e Prandini Gerolamo(Mòmol-figlio di Pietro e padre di Cifra).

Parte 2

In questo periodo dalla cava fu staccata l’”anca”, che era una grossa fetta di roccia appena appiccicata alla parete verticale. Il rotolamento dell’anca giù per la costa provocò un notevole danno perché al suo passaggio oltre all’abetaia sottostante distrusse diverse pietre già lavorate(cordoli, lastre di pavimentazione, gradini, copertine per muri ecc.) Questa finì sul piano dove ora c’è la strada di accesso al “ bàit del gòp”(oggi proprietà Prandini-Perlotti) e dove si vedono ancora i resti del “barachì dela forgia”, casello in cui si (arrangiavano) lavoravano le punte; (dentro vi erano: la forgia per arroventare gli scalpelli spuntati, l’incudine per rifare le punte e la vaschetta in granito per temprarle).

Doro (diminutivo di Isidoro) ha raccontato a Cocchi Antonio che, riguardo all’operazione dello stacco dell’anca, la miccia la prima volta ha fatto cilecca perciò gli scalpellini, con molto rischio, hanno dovuto inserire nel “camino” un ferro arroventato per bruciare la polvere e liberare il buco al fine di rimettere la carica.

Parte 3

Le pietre lavorate venivano trasportate con i carri (preàle), utilizzando la strada montana di Braone, fino ai luoghi di destinazione, mentre quelle grezze erano portate al Badetto : alcune al piazzale dell’osteria altre al piano caricatore della ferrovia per essere lavorate e quindi caricate sul treno.(I carri vuoti, al ritorno in Piazze, percorrevano la strada della Valpaghera perché meno ripida e più comoda e, all’altezza di Faét, prendevano il Biàl Nof passando il torrente Pallobia su un ponticello di legno.

In questo periodo l’attività fu intensa e si ricorda che, con le pietre di Piazze, sono stati costruiti i pezzi di pregevole fattura che compongono le quattro fontane commemorative(datate 1923) ancora presenti nel centro storico di Braone .La loro realizzazione fu possibile in quanto il fiduciario della allora frazione del comune di Breno Prandini Pietro, capo della squadra di scalpellini che lavoravano nella località montana, ottenne il contributo dal podestà. Si suppone che i massi delle fontane, essendo di notevoli dimensioni , fossero trasportate in paese già lavorate ovviamente perché meno pesanti.

Inoltre sempre in quegli anni il Fascismo a Brescia stava costruendo Piazza Vittoria per cui anche agli scalpellini di Braone furono commissionati blocchi di cm 50 di larghezza e di cm 14 di spessore(la lunghezza non aveva misura).Inoltre si tramanda che con le pietre di Braone fu costruito pure un monumento a Coccaglio.

Parte 4

Dopo la seconda guerra mondiale e precisamente nel 1955 in Piazze fu ripreso il lavoro nella zona della cava, però più a monte , e fu allestita ,con 5-6 grandi tralicci di legno, una lunga e robusta teleferica che collegava il sito della cava con la strada della Valpaghera di Ceto. Inoltre si posizionarono due rotaie di trenta-quaranta metri sulle quali scorrevano due vagoncini(piattine) per portare i blocchi(in questo periodo si costruivano soprattutto cordoli per marciapiedi) fino alla piazzuola della teleferica per poi farli scendere alla strada percorsa dal camion di Pippo,che trasportava i manufatti al Badetto.L’attività durò fino al 1968 (dal 1958 al 1968 la cava fu gestita da Bonfadini GiovanMaria).

In questo periodo molti erano i lavoranti: Gelmini Pierino e il fratello Giacomo(i capi),Bonfadini Giacomo (Bufadùr),Poli Giulio,Gelmini Bortolo (dèla tor)Baruselli Giovanni(padre di Ignazio),Facchini Battista(padre di Riccio), Facchini Agostino (Baratì) Bonfadini GiovanMaria e Gelmini Renzo; quindi c’erano dei ragazzi:Facchini Severo (figlio di Agostino), Facchini Fortunato (Riccio)Bonfadini Andreino e Alberto (figli di Giacomo) e Bonfadini Cesare (a tutt’oggi scalpellino).Questi, durante la settimana,per il periodo estivo-autunnale abitavano nel”bàit del gop”.

Negli anni 70 si smantellò la teleferica e si interruppe il lavoro. Nel 1973 in seguito alla costruzione di un robusto ponte sul Pallobia e alla sistemazione del Biàl Nof che permisero una viabilità alternativa, il lavoro fu ripreso ancora da Bonfadini GiovanMaria e da Cocchi Antonio che lavorarono attorno ad un masso di enormi

dimensioni(m 12 x 5 x 4) staccato poco tempo prima dalla parete della cava da Bonfadini Amedeo, fratello di Giovan Maria,e da Facchini Fortunato.

Quindi la cava fu abbandonata vuoi per scarsa richiesta dei manufatti,vuoi per la mancanza di giovani che si dedicassero a questa attività e alla fine il colpo di grazia lo diede negli anni 80 la Regione con il decreto di chiusura di numerose cave ritenute improduttive o inattive .

In questi ultimi anni tuttavia il lavoro dello scalpellino,anche se con mezzi più moderni,sembra in ripresa e si contano almeno dieci addetti a Braone, Ceto e a Niardo, di cui tre sono giovani.

Il Comune di Braone stimolato dalle iniziative degli scorsi anni della Pro loco

sta mettendo in atto un progetto denominato “Via della Pietra”per approntare dei siti didattici (uno proprio nei pressi della cava di Piazze) al fine di non perdere la storia di questi artigiani che hanno faticato duramente per contribuire a rendere più belle le nostre contrade.


Braone 20 settembre 2007

Prandini Rino

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Ultimo aggiornamento
13 settembre 2022